Tempo di gioco:
1152 minuti
Chi conosce Sam Barlow sa quanto egli abbia una concezione molto personale dell'"esperienza ludica" e quanto ami proporre al giocatore videogiochi sui generis, in cui non esistono percorsi definiti, obiettivi chiari o enigmi da risolvere attraverso azioni specifiche.
Se nel celebrato Her Story venivamo chiamati a ricostruire il passato della protagonista attraverso la consultazione di video d'archivio della polizia, in Immortality il pretesto è quello di ricostruire la storia dell'attrice Marissa Marcel attraverso frammenti degli unici tre film a cui ha partecipato, e dei quali il giocatore, nel ruolo di archivista, è entrato in possesso.
Mentre in Her Story (e nel successivo Telling Lies) la ricerca dei video avveniva tramite parole chiave, in Immortality l'interfaccia è ridotta all'osso: non esistono più parser o parole da inserire tramite tastiera, ma ogni fotogramma diventa una potenziale porta d'accesso al video successivo, attraverso hotspot cliccabili (posti su oggetti o personaggi).
Ad esempio, un clic sull'immagine di una candela all'interno di un video di Ambrosio (il primo film interpretato da Marissa nel 1977) ci porterà, in modo del tutto casuale, a un altro fotogramma contenente una candela, e al video che lo contiene.
Attraverso questa meccanica di gioco, vedremo schiudersi lentamente l'universo di Immortality, rendendoci conto di come la ricostruzione della trama dei tre film (oltre al già citato Ambrosio, conosceremo il noir del 1978 Minsky e il thriller Two of Everything del 1999) sia solo il "primo livello" di una ricerca che ci condurrà ben oltre l'interrogativo iniziale: "Che fine ha fatto Marissa Marcel?"
Il lavoro dietro le quinte del gioco è impressionante: basti pensare che sono stati girati tre film completi (un plauso alla bravura di tutti gli attori), oltre a interviste e "fuori onda", ognuno con stili, costumi, caratterizzazioni e sceneggiature totalmente differenti.
Funziona tutto? È un gioco perfetto?
La risposta è soggettiva. È facile trovare recensioni contrastanti, da chi grida al capolavoro a chi lo abbandona dopo qualche ora, sopraffatto dalla noia. Non è evidentemente un gioco per tutti.
Richiede tempo, curiosità, "fede" e pazienza, specialmente per superare le prime ore di gioco, in cui la sensazione di straniamento sarà forte, così come la tentazione di mollare.
Non mancano immagini esplicite e a tinte forti, il che sconsiglia il gioco ai più sensibili. Sebbene descritto da alcuni come un "horror psicologico", a mio avviso non c'è nulla di davvero "spaventoso" (e questo è stato per me un sollievo, poiché il motivo per cui avevo rimandato l'approccio al gioco era proprio l'idea — errata — che mi ero fatto leggendo alcune recensioni).
Come dicevo, la ricostruzione delle trame dei film e della storia di Marissa è solo la "superficie", e dopo le prime ore diventerà chiaro come la scarna interfaccia con i classici comandi "rewind, play, fast-forward, fermo immagine" non sia solo un complemento, ma il vero "portale" attraverso il quale addentrarsi nei meandri del gioco.
Se si riesce a entrare in sintonia con il gioco, ci si accorgerà di come i personaggi diventeranno un tutt'uno con il giocatore/spettatore, rendendoli difficili da dimenticare.
In conclusione, Immortality è una dichiarazione d'amore di Sam Barlow alla Settima Arte, un'immensa metafora su cui riflettere anche a monitor spento.
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