Tempo di gioco:
231 minuti
Cosa succederebbe se fosse possibile raccogliere memorie, sensazioni e ricordi di un individuo permettendo a qualcun altro di riviverli? E' un tema che è stato toccato su più fronti, soprattutto in ambito cinematografico, e che ogni volta fa sorgere domande quali: potrebbe essere un nuovo modo di comunicare e interagire? Di effettuare studi sulla ricerca? Di apportare innovazione in ambito terapeutico o militare? Transference, il singolare progetto frutto della collaborazione fra Ubisoft e SpectreVision (tra i cui fondatori spicca il celebre attore Elijah Wood), basa il suo concept proprio su questi affascinanti e paradigmatici presupposti.
Transference si inserisce nella tradizione ormai consolidata dei walking simulator, proiettandoci in un'indagine sulle capacità cognitive della mente umana, regalandoci una serie di fotografie, spesso sfocate e sovrapposte e a tratti terrificanti, in cui orientarsi nel tentativo di uscirne con delle risposte, scoprendo il dramma che ha travolto e distrutto per sempre l'esistenza della famiglia Haynes.
Si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria simulazione virtuale, inscenata interamente all'interno dello stabile in cui vivevano i componenti del nucleo familiare: Raymond e Katherine con il loro figlio, Benjamin. La ricostruzione digitale, creata fondendo tra loro ricordi, sensazioni e percezioni di ogni componente della famiglia, restituisce all'utente a livello visivo e uditivo il fastidio, il disagio, la difficoltà nel farsi strada all'interno di menti malate che hanno vissuto un grave dramma a causa dell'ambizione, divenuta ossessione, di Raymond nei confronti della sua rivoluzionaria ricerca, basata appunto sul trasferimento di "dati cerebrali" in un mondo virtuale, come il titolo lascia intendere.
Il gameplay è incentrato sulla risoluzione di enigmi cui dovremo far fronte durante l'esplorazione dell'appartamento che, se effettuata a fondo, renderà anche possibile collezionare delle registrazioni che sviluppano ulteriormente la narrazione attraverso brevi video in live action che hanno come protagonisti i membri della famiglia Haynes.
Gli enigmi in questione sono in buona parte basati sul concept del gioco stesso, ovvero la convergenza di più menti in un unico spazio digitale, la riproduzione di ambientazioni tramite i differenti punti di vista di tre diversi individui. Ciò significa che spesso e volentieri dovremo ritrovare degli oggetti esplorando lo stesso scenario, ma filtrato attraverso una diversa coscienza, attivando degli "interruttori della luce" che ci permetteranno di "traslare" da un membro all'altro della famiglia. Si tratta di un meccanismo volutamente poco chiaro, fattore che rende contorto ma estremamente affascinante il gameplay di Transference, che sottolinea per l'appunto la fragilità della psiche umana e quanto poco basti a farla vacillare o addirittura distruggere.
La scarsa longevità del titolo (ho impiegato circa tre ore per venire a capo del mistero) in questo caso non è affatto un difetto di cui tenere conto, soprattutto se si sceglie di giocarlo con il visore, tramite cui Transference effettivamente potrebbe dare il meglio di sé. Motion sickness permettendo, il VR "aiuta" l'utente a sperimentare appieno il disagio e il progressivo affaticamento fisico e mentale dovuto all'analisi psicologica all'interno di menti malate forzatamente tradotte in codice binario.
Al di là dei rompicapi, piuttosto semplici da risolvere in realtà, e dei classici jumpscare, frutto di apparizioni improvvise ed inquietanti, Transference è un'esperienza visiva e sonora difficile da descrivere e che punta a fondere l'ossessione di Raymond con quella del giocatore, spinto quindi a scoprire cosa sia andato storto, quale sia stato il fattore scatenante che ha condotto lo scienziato sull'orlo della follia, istigandolo a sacrificare tutto pur di raggiungere il suo scopo.
Il comparto artistico di tutto rispetto svela la grande abilità degli sceneggiatori che hanno contribuito al progetto, creando un magnetico e a tratti allucinato art design che, insieme ad una colonna sonora arricchita spesso da strazianti richieste d'aiuto da parte di Benjamin e da sinistri sussurri, è in grado di reggere sino ai titoli di coda e senza repentini cali di ritmo.
Per concludere, consiglio Transference con la riserva che non è un gioco per tutti, e va da sé che solo con il visore VR si può godere appieno dell'originaria visione degli sviluppatori. Bisogna inoltre essere inclini ad una narrazione volutamente lacunosa e complessa, metaforica e fortemente metareferenziale. Il progetto di SpectreVision funziona proprio quando sfonda la quarta parete e cerca di incentivare la totale immedesimazione del videogiocatore nell'avatar, a tratti abbandonando il filone classico dei walking simulator per introdurre tematiche prettamente filosofiche e antropologiche.
Un esperimento tutto sommato riuscito ma che per alcuni resterà incomprensibile e persino indigesto. Chi saprà guardare oltre la sua semplice apparenza di walking simulator con tinte di horror psicologico, scoprirà un testo ricco di spunti e riflessioni volte a fornire solidi punti di partenza per un'indagine sull'individuo e sulla sua capacità di interpretare la realtà.
Keep gaming, folks!
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