Tempo di gioco:
206 minuti
Non mi ricordo come avvennero le cose ma me le immagino così: sono un bambino di 7 anni, e con mio padre entro nel nostro negozio di videogiochi di fiducia (l'Arcobaleno, ormai defunto da un bel pezzo, sito in via Candia a Roma, quindi in pieno centro della Città Eterna). A un certo punto, i miei occhi si posano su un picchiaduro appena uscito (era il 1996) chiamato Pray for Death. Per qualche motivo me ne innamoro, e così mio padre me lo compra. Probabilmente come regalo di Natale.
Anni dopo ho scoperto che mi feci regalare un gioco sviluppato da un team italiano riunitosi sotto il nome di Lightshock Software, all'epoca già autore nel 1994 di Fightin' Spirits, reputato oggigiorno come uno dei migliori picchiaduro rilasciati per la gloriosa Amiga. Quindi, insomma, stiamo parlando di ragazzi che il fatto loro lo sapevano eccome. Peccato però che il team sarebbe scomparso mestamente dopo Pray for Death.
Ma proprio per il fatto di essere un prodotto italico (e non solo), nel numero 87 di The Games Machine uscì un'entusiastica recensione del videogioco, a cui venne dato un voto spropositato: un sonoro 93.
Ok, in un periodo nel quale i giochi di fattura italiana erano veramente rari, un po' di campanilismo forse c'era ma, a rigiocarlo adesso dopo tanto tempo, Pray for Death non è poi così malaccio.
Trattasi sostanzialmente di un miscuglio fra il sistema di combattimento tutto combo infinite di Killer Instinct e l'atmosfera horror e la ferocia, mitigata però con qualche nota ironica, di Mortal Kombat, da cui prende anche le fatality. Peccato però che queste ultime siano un pelino senza mordente e poco creative, a differenza delle simpatiche "idiot moves", sorta di incrocio fra le fatality e le friendship sempre di Kombatiana memoria.
Non particolarmente nutrito ma comunque totalmente fuori di testa il roster dei lottatori. All'inizio ce ne sono infatti solo 10 giocabili, ognuno con la propria storiella da raccontare, più 2 sbloccabili in seguito, fra cui - REGGETEVI FORTE! - la Morte stessa. Ma si annoverano anche esseri mitologici come Anubi, ennesimi cloni di Bruce Lee come Jan Fun, robottoni apocalittici come Painbringer, vichinghi assetati di sangue come Wolfrich, muscolosi demoni-toro come Murgan, maghi crudeli alla ricerca del Necronomicon come Xenobius e - REGGETEVI FORTE DI NUOVO! - addirittura nient'altro che Cthulhu. E qui si capisce in maniera definitiva che questi ragazzi dovevano amare follemente l'opera di Lovecraft.
Ultimo punto da trattare è quello della grafica pre-renderizzata. All'epoca molto bella da vedere, adesso un po' meno. Ma ricordo che la lunga intro con la Morte protagonista, piccolo com'ero, mi impauriva non poco. Però, ora che sono adulto, devo dire che certi sfondi sono tuttora veramente fighi (come quello satanico di Murgan) mentre alcuni sono un po' troppo confusionari (come quello urbano di Pantera).
Alla fin della fiera, Pray for Death sarà invecchiato malino, sarà completamente figlio del suo tempo (i cloni di Mortal Kombat erano allora all'ordine del giorno ma molti erano decisamente brutti e trashissimi) e offrirà pochissimo al videogiocatore moderno ma si lascia comunque ancora giocare, anche per via di una sfida piuttosto impegnativa pure alle difficoltà più basse. E poi, sì, ribadisco che Pray for Death venne sviluppato da una banda di italiani che avevano come publisher addirittura la Virgin Interactive. Chissà cos'altro di buono avrebbero fatto se avessero continuato con la Lightshock Software?
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